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Arte in Villa

Aggiornamento: 17 apr

Arte in Villa Incontro con lo strittore Maurizio Venturino Immagine e narrazione, il fascino eterno dell'arte Gli uomini preistorici si stringevano attorno al fuoco, intenti a raccontare storie e forse a dipingere sulle pareti della loro caverna. È la testimonianza di come la narrazione appartenga all’essere umano, e come essa sia intrinsecamente legata alla rappresentazione visiva. La scena primordiale non è così lontana dallo studio di un’artista di oggi: le mani preistoriche lasciano impronte sulle pareti della caverna. Tanto quanto un pittore di oggi lo fa con i pennelli sulla tela.

Arte in Villa

È un atto potente: narrazione e immagine nascono insieme, intrecciandosi per creare immaginari collettivi. La comunicazione nell’arte ha oggi più che mai bisogno di una narrazione e questa non può che partire dal “basso”, dal fruitore estemporaneo, come può essere il visitatore di una mostra. Non sono forse la pittura, la scultura, la poesia altrettanti modi per dare forma all’invisibile, per evocare ciò che la razionalità non può esprimere?

Forse il nostro compito, allora, non è solo quello di esporre l’arte, ma di lasciarci raccontare da essa. È questa consapevolezza che mi ha avvicinato all’arte. Ciò che mi stimola è l’urgenza narrativa di un’artista, per questo mi lascio coinvolgere dalle sue opere. Quando guardo un quadro o una scultura, mi abbandono alla fantasia e immagino storie. Un atto che aiuta anche scoprire qualcosa di sé.


Non guardate i quadri, raccontateli. A modo vostro, per quanto vi suscitano, senza la paura di non sapere a quale corrente artistica si rifanno, da chi si è fatto ispirare l’artista, quanto sia innovativa o tradizionale la tecnica utilizzata. Liberate la vostra fantasia e fatevi ispirare da ciò che vedete. Cose serve per farlo?

Fatevi guidare dall’istinto e scegliete un’opera che vi colpisce. Ma a quel punto, dedicate a essa un po’ del vostro tempo. È diventato un bene prezioso, il tempo, usiamolo per qualcosa di nuovo.

Non abbiate paura di immaginare. Create delle storie da ciò che percepite dal quadro. Tutte le storie sono legittime, è questo il grande potere dell’arte. Chiunque può immaginare storie, non è esclusiva degli scrittori. Osate e non ve ne pentirete.


L’arte è lo “sposalizio” tra l’artista o lo spettatore. Anche solo un piccolo racconto può aiutare a costruire l’identità di una comunità. Lo sapevano, d’istinto, in nostri progenitori preistorici, non dimentichiamolo noi che ci definiamo moderni.


LE SUGGESTIONI DEGLI ARTISTI IN MOSTRA

  • ANDREA BARI. Colori aggressivi, intensi, pieni: lasciano trasparire un mondo di forti emozioni. Legarle alle immagini floreali o a scorci di borghi apre la mente a storie di amanti, forse tormentate o magari coinvolti in rapporti sereni e longevi. Fino a sconfinare nelle scomposizione delle forme: è uno sguardo sulle inquietudini nascoste?

  • ELISA BERTINATO. Le gondole sospese tra la laguna inquieta e le nuvole nervose. I languori sensuali di una donna veneziana avvolta negli splendori cinquecenteschi. E ancora, fiori sfrontati nella loro fisicità, in contrasto con i riflessi eterei di un fiume che confonde cielo e acqua. Le suggestioni della maternità tradiscono una sensibilità che travalica spazi, luoghi, culture: storie parallele che stimolano a immaginare punti d’incontro.

  • ANNA MARIA CARLOTTO. Le linee che si sfaldano scontrandosi con la densità del colore. Il fermo immagine del paesaggio si fa movimento, come se il vento del tempo lo attraversasse con le sue inquietudini. C’è un’urgenza espressiva negli alberi e nelle montagne che li trasformano nello spazio scenico dell’eterna lotta interiore tra caos e quiete.

  • GINO CISCO. Le vestigia della storia segnano in modo indelebile il territorio naturale. Non cartoline, ma tracce di cultura, colte nella loro essenzialità senza tempo. Il paesaggio è la cassa armonica di risonanze e stati d’animo accesi dallo sguardo. Le trasparenze acquee del vetro si sposano con la forza dirompente del colore, per un’immersione visionaria nel cuore pulsante di Venezia.

  • IVAN DANCHIELLI. L’altrove della neve, con i suoi silenzi densi di fiabe, forse innocenti, oppure crudeli. Le figure umane si fanno piccole nelle solitudini gelate, dove la vita è dura. Esistenze che si lasciano solo immaginare nella casa solitaria delle terre di bonifica o che si sfumano nella nebbia, un grigio sudario su giorni cadenzati dal lavoro e dai sacrifici.

  • MARITA DANTE. Il bianco e nero è una “tabula rasa” dove la foresta si popola dei fantasmi di creature misteriose e minacciose. La realtà perde i suoi solidi connotati, le creature si ingigantiscono, si scompongono in segni stilizzati di un non luogo dove la presenza umana è solo un ricordo affidato al vetro rotto di una finestra.

  • MATTEO DEL GIUDICE. L’astratto è una sfida. Creare un racconto da segni e colori senza apparente forma richiede talenti speciali. Come quello di una bambina, vergine da ogni pregiudizio, senza conoscenze, ricordi, insegnamenti. La bambina vive l’assoluta libertà di affondare la propria immaginazione in quei segni e colori così misteriosi. Attraversare il limite della tela: una bambina è capace di farlo, scoprendo mondi fantastici e affascinanti. Un’arte difficile e per questo preziosa.

  • GIOVANNI DESERTI. Monocromi, altrettante proiezioni di incubi, che piegano il naturale alle ossessioni dell’inconscio. Volti umani, brandelli di volti, altrettanti specchi deformanti del magma interiore che preme per farsi visibile, per impadronirsi del reale. E su tutto la mitica “bic”, il segno della “scrittura”, affrancata dai codici alfabetici, per abbracciare i graffi dell’impulso.

  • KETTY DONÀ. L’esplorazione del femminile, sospeso tra ruoli tradizionali e simboliche idealizzazioni. Una ricerca che lascia la libertà di immaginare storie di emancipazione, come anche fiabesche escursioni in donne-eroine di universi paralleli eppure a noi vicini, a saperli cogliere. L’assenza dei volti è l’invito a sognare, a lasciarsi trasportare dai mille e mille volti del fascino femminile.

  • LICIA FILON. Il dinamismo delle forme, le curve sinuose dei colori, il paradosso dell’albero che si fa movimento, velocità, impulso. Il piccolo sauro con la sua macchia di verde irride la secchezza del tronco d’inverno. La stagione calda esplode nei rami-foglia che si protendono verso la luce, assetati di vita. È il trionfo del divenire, delle piante come dell’anima.

  • IRENE FINATO. La Venezia acquea si presta a diventare specchio di avventure nei misteri arcani e alchemici della città sospesa tra laguna e cielo. Paesaggi umani quasi metafisici, occhi di finestre dietro alle quali si può solo intuire la presenza umana. Una rarefazione dell’umanità, testimoniata solo dalle linee architettoniche, soggette alla forza creatrice della luce. Il bambino con il suo cane è l’ultimo superstite che ancora abita questi spazi vuoti, primigenio essere di una nuova condizione esistenziale.

  • ROLANDO FRANCHIN. Paesaggi colti nella loro essenza spirituale, con i colori che si fanno abbraccio sensoriale della natura, mentre la presenza umana diventa puntiforme e quasi invisibile. Il borgo si trasforma in una sorte di pianta che completa il profilo naturale della collina. Mentre il grigio dominante dell’asfalto racconta l’altra faccia del paesaggio, quello plasmato dall’uomo, piegato ai propri bisogni. Nel conflitto con l’azzurro inquieto del cielo, si racchiude una possibile storia di redenzione, sotto l’occhio devoto della pietra che si fa spiritualità.

  • BRUNO FUSARI. Gesti quotidiani, colti nell’attimo fuggente di un’impressione, di una sensazione. Sospesi in un tempo dilatato, che apre lo spazio alla curiosità di cosa sia successo prima, di cosa succederà dopo. Il pesce che forse sarà preso all’amo, i pensieri del giovane pescatore che si disperdono sul colore dorato dell’acqua e del cielo. Le palline sospese del giocoliere sono un dispettoso “fermo immagine” che amplifica il tempo in un flusso creativo, fluido e impalpabile.

  • JORGJI GJERGJI. Colori inquieti in contrasto con la quiete idilliaca della famigliola di orsi che si fa fotografare o del cane che ha fiutato la preda. E ancora, animaletti incantati dalla pifferaia spiata da un uomo: è uno sguardo d’ammirazione o il desiderio del possesso? Un universo ironico, giocato sulle contraddizioni, sulla posa “fotografica” della divinità mitologica o sulla seriosa professionalità del fotografo naturalista. Niente è come sembra, ogni avventura è possibile, la fantasia può correre libera sulle linee sinuose.

  • VALENTINA GONZO. Sospensione, rarefazione, la dolcezza di un volto, i capelli che innescano il potere evocativo della linea. Ci sono tutti gli ingredienti per immaginare una fiaba, una principessa triste, pronta a spiccare il volo, seguendo le tracce dei suoi capelli. Fino a librarsi nel cielo sospeso sopra le montagne, anch’esse forse capelli di qualche strana creatura terrigna.

  • PAOLO GUARDA. Esplosioni di colori, sfacciati, aggressivi, dinamici. La danza del mare si fa un tutt’uno con i movimenti della ballerina. Un faro di bellezza, lontana da tutto e da tutti, austera e inarrivabile nella sua grazia congelata nel gesto, sottolineata dai bianchi e dai grigi. Il colore è, invece, dinamismo, movimento, deflagrazione di energia. C’è un filo che lega la ballerina e il faro: quale storia li ha coinvolti?

  • BOJAN JOVANOVIC. Paesaggi spirituali, dai colori sfumati. Il cuore multiforme e pulsante di una città o il fiume che si fa riflesso della realtà materica. Possono ben essere i palcoscenici di un viaggio esistenziale, la ricerca di un luogo che nasconde il persorso interiore di un eterno cercatore del senso della propria vita.

  • VERONICA LORENZI. La principessa nella villa incantata o la suora nella modestia del borgo. C’è un’atmosfera sospesa che accumuna queste due donne dalle vite tanto diverse. È come se la natura stessa le riconoscesse e le accogliesse, circondandole di fiori intonati al loro stato. Gli edifici e il paesaggio sono sottofondi poetici alle vite di queste due donne misteriose. O forse sono la stessa donna, colta in momenti diversi della sua esistenza.

  • ANDREA MARCHETTO. La provocazione è un denso colore che si scioglie. A poco a poco cancellerà la parola “pace”. Sacerdote di questo rito icastico è uno scimpanzè, metafora di un ritorno alle origini dell’umanità. Troppo facile richiamarsi alle guerre di oggi. Troppo facile pensare al “Pianeta delle scimmie”. La provocazione è una sfida a immaginare la propria personale involuzione.

  • ROBERTO MENEGUZZO. La natura nelle sue infinite sfumature di colori e di forme. Alberi protagonisti su palcoscenici di dolce armonia, con le costruzioni umane che si fanno comprimarie della seducente naturalità. Foglie ingigantite e rami scheletrici, frondose quinte dove le cromie non sono solo il pulsare delle stagioni, ma specchi degli stati d’animo dell’estatico spettatore.

  • ALISON PIAZZA. Volti come ritratti emozionali, tratti somatici incapaci di contenere il colore che schizza, si fonde, si insegue, a rivelare l’anima tormentata che si nasconde dietro le sembianze femminili. E poi foglie, sospese in uno spazio che non è naturale, ma simbolico ed evocativo. A fissare negli occhi queste eroine si può saltare nello spazio e nel tempo, immaginando mondi lontani o forse solo quelli vicini dell’inconscio.

  • ANNA MARIA ANNETTE RONCHIN. Linee a cogliere l’essenza, a mettere a nudo la forza simbolica: di una colomba o del leone di San Marco, di una statua o di un’architettura, di una figura umana. La stilizzazione non come spazio del “meno”, ma come porta che apre alla fantasia di un “oltre”. Ci vuole la libertà della mente per attraversare quella soglia: ciascuno portandosi dietro la curiosità della scoperta.

  • ASIA SAMBUGARO. Il cerchio, movimento infinito, oblò sul mondo, proiezione sognante tra mare e cielo. Assomiglia a un sogno il paesaggio dove si perde la fanciulla, con i piani immagine così scanditi da sembrare passaggi di un viaggio incantato. Se le fiabe vivono dell’alterità tra bene e male, in questa atmosfera sospesa il drago ammicca docile, sedotto dalla bellezza ambigua della fanciulla.

  • FLAVIO SAMBUGARO. L’arte nell’arte, con quel gusto pop dai colori sfacciati, quasi irridenti. È un racconto nel racconto, un’indagine rabdomantica di essenze, giochi allusivi, assonanze e dissonanze. La figura umana si trasforma in icona, allude, ammicca, ma prende strade personali, esplora visioni conturbanti.

  • ROSARIO SANTANGELO. Biologia e tecnica, l’umano che si contamina col meccanico, visioni di un futuro sospeso tra buio e luce, come sospese sono le “creature” tra umano e non umano. I colori, anch’essi sospesi tra pieni sgargianti e delicate sfumature, stemperano il timore dell’ignoto e aprono la strada a un’armoniosa danza degli opposti.

  • GIANNINO SCORZATO. La pietra è l’architrave di un mondo sospeso tra la fascinazione delle vette e la discreta traccia umana di dure esistenze. Una passione così forte e urgente che deve essere in qualche modo contenuta, perché non travolga ogni sensazione. Il bianco e nero diventa, così, l’elemento di equilibrio, che consente una contemplazione della natura selvaggia che si fa specchio dell’anima.

  • ANGELA TRIPPA. Il paesaggio naturale si fa sensazione, è l’emozione a dettare il ritmo della rappresentazione. Talvolta si fa eterea e sfumata, quasi a perdersi nei fiori, nell’acqua di un laghetto, nella rarefazione della vegetazione verso le montagne. Talaltra, invece, si fa forte, aggressiva, intensa. I colori separano, tracciano linee e confini, la natura perde i suoi connotati realistici e sfuma nella forma quasi astratta.

  • SERGIO TROTTO. La materia solida si piega alle ragioni del racconto, si trasforma in una scala che nel suo viaggio verso la luce si incurva come piegata da una forza misteriosa. Oppure si fa realistica, nell’espressione sorridente di una bambina, quasi un folletto che si prende gioco delle nostre paure. La materia esce dalla due dimensioni per accennare un ritratto di donna, un fiore spuntato all’improvviso da un sudario che esplode in un movimento vitalistico.

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